Ottavia
Roberta Zanlucchi
IL RACCONTO.
Ottavia ricerca la sua dimensione, vuole provare a volare con le sue ali di farfalla.
In un periodo in cui avere una propria opinione era molto complicato, in una Ferrara sull’orlo della Seconda guerra mondiale, Ottavia cerca in tutti i modi di svincolarsi da una vita imposta dalla sua famiglia borghese.
Il destino pensa, non dovrebbe essere dato dalla casa in cui nasciamo, ma dalla strada che scegliamo di percorrere e dalla determinazione con cui lottiamo per realizzare i nostri sogni.
Nella ricerca dell’amore, Ottavia intraprenderà un viaggio dove scoprirà la propria essenza.
LEGGI L’ESTRATTO.
Ottavia Ferrara 1939.
Cominciai a camminare, e come spesso accadeva mi si svuotò la mente. I pensieri divennero leggeri, e piano piano se ne andarono. Sentivo solo i miei piedi sul selciato, l’odore di pioggia che si infilava nelle narici, i sassi sotto le scarpe. Camminai parecchio fino ad arrivare ad una zona che non avevo mai frequentato molto. C’erano diverse biciclette in giro, mi venne in mente che non ne possedevo una, ma che mi sarebbe piaciuto almeno provarla una volta. Mia madre diceva che era un mezzo “mediocre”, dunque inutile. Imboccai via Bologna attraversando il ponte. La vista dell’acqua era rigenerante, anche se aveva assunto un colore scuro per via delle piogge era piacevole seguirla nella sua corsa. Mi ricordai che avevo lasciato Clelia, la governante, dicendole che avrei fatto una breve passeggiata, mentre oramai camminavo da più di un’ora, dunque decisi di tornare indietro. Imboccai un viottolino, pensando di abbreviare la strada e girando l’angolo fui praticamente investita da una bicicletta, che mi scaraventò a terra. Caddi all’indietro, mentre il guidatore la frenava per non finire addirittura sopra di me. Vidi un ragazzo saltare giù dal sellino e alzare la bici verso l’alto perché la ruota non mi finisse in volto. Restai stesa a terra, finché non sentì due braccia che cercavano di rimettermi in piedi. “Come sta, signorina? “Il tono era tremendamente preoccupato. “Non lo so “risposi. “Devo avere battuto forte il braccio perché mi fa piuttosto male” “La aiuto ad alzarsi, come posso farmi perdonare, era umido il selciato e … “ “Veramente stava correndo come un matto, se no si sarebbe fermato “Gli risposi seccata cercando di ripulirmi la gonna con il braccio buono “Sì, ha ragione, non ho scuse “ “L’importante è che il braccio non sia rotto” aggiunse, cercando di rincuorarmi. Mi girava la testa, più per lo spavento credo. “Venga, per favore, c’è un bar qui dietro l’angolo, così può bere qualche cosa, la vedo davvero pallida “ Il ragazzo diede una pedata alla bicicletta per levarla da mezzo e mi prese sottobraccio. Entrammo al caffè Diana, e mi fece accomodare ad un tavolino. Era piuttosto affollato e mi vergognai abbastanza perché avevo la mantella completamente sporca di polvere grigia. “Che ne dice di un chinotto? O preferisce semplice acqua, magari con la menta? Mi dica, le porto quello che vuole…” “Chinotto va benissimo, grazie “Il braccio mi doleva, ma almeno le gambe erano sane. Mi rilassai un attimo, in fondo non mi pareva nulla di grave. Trangugiai il chinotto, poi mi accorsi che lui seduto davanti a me mi stava fissando. “Ne vuole un altro? “ “No, no, va bene così grazie, magari rimango seduta un attimo per riprendermi “ “Allora ordino per me” disse. Il cameriere gli portò un’acqua tonica. Nel bar aleggiava una bella atmosfera, condita da uno swing in sottofondo. “Il suo nome? “ “Ottavia “ “Piacere Valerio Sorani “disse facendomi il baciamano. Lo guardai. Non mi ero resa conto di quanto avesse un viso interessante. La mascella leggermente squadrata incorniciava una bocca non troppo mascolina. I capelli troppo lunghi avevano bisogno di un taglio e gli ricadevano fin quasi a toccare le spalle. “Che personaggio”, pensai. Era comunque gentile e si preoccupò molto per il mio braccio, che un poco si stava gonfiando. “Non credo sia rotto, altrimenti avrebbe più dolore, ma è stata una bella botta, mi dispiace per l’accaduto “ Decisi di rientrare si era fatto molto tardi e Clelia era sicuramente in apprensione. Valerio volle l’indirizzo di casa, insisteva per mandarmi dei fiori per scusarsi. Accettai. “Clelia, vai ad aprire per favore”, disse mia madre il pomeriggio seguente mentre si rilassava bevendo una cioccolata con la sua migliore amica in terrazzo. “Sono dei fiori “, disse rientrando Clelia con il mazzo in mano. Mia madre rimase piuttosto sorpresa nel vedere l’enorme composizione di gigli rosa, rose e gerbere, tutte in tinta degradante. “E’ per me “dissi. Tullia non si avvicinò nemmeno al mazzo per osservarlo, rimase con un’espressione attonita in disparte, le gambe allungate sul divano. Clelia mi porse il bigliettino allegato “Carissima Ottavia, questo mazzo di fiori per scusarmi ancora dell’accaduto e certo che lei mi abbia perdonato, per invitarla domenica prossima ad una passeggiata. Mi auguro accetterà. Valerio” Mia madre mi prese il biglietto dalle mani e lo lesse ad alta voce. “Chi è questo signore? “ “Di cosa si deve scusare” continuò a chiedere. “Mi ha investito con la bicicletta”, risposi. Tullia scoppiò in una risata sonora, che continuò fino alle lacrime. Anche mia madre sembrava divertita. “Che c’è tanto da ridere? “ “Un bel modo di conoscere i giovanotti “disse Tullia, che ancora non smetteva di ridacchiare, cosa che l’aveva ormai portata a colpi di tosse. “Ovviamente non ci andrai, soprattutto con uno che gira con la bicicletta “disse mia madre, mentre la sua amica pareva approvare facendo sue e giù con il capo. Mi feci portare i fiori in camera dalla cameriera, li misi sullo scrittoio davanti alla finestra. Era un invito, uno vero e io non ne avevo mai ricevuto uno.